Ci sono molte osservazioni interessanti e valide su questa cosa spesso disprezzata e a volte celebrata chiamata capitalismo.
Ovviamente ciò che il capitalismo significa per qualcuno che vive in Venezuela; un paese ancora in preda all’iperinflazione, è probabilmente molto diverso da quello di una persona che vive a Singapore; il paese che vanta l’economia più libera del mondo secondo il Heritage 2020 Index of Economic Freedom.
I sostenitori del capitalismo si affrettano a sottolineare tali aggiornamenti della qualità della vita, come il reddito familiare mediano negli Stati Uniti nel 2017 è aumentato del 50,1% rispetto alla media del 1967-1970.
I suoi oppositori potrebbero poi ribattere che, nonostante questa incredibile crescita, viviamo ancora in un mondo in cui quasi un terzo di tutte le famiglie americane ha meno di 1000 dollari di risparmi, o agitare un dito indignato per il sempre crescente divario tra l’1% più ricco (che possiede quasi la metà della ricchezza dell’intero pianeta) e il resto di noi, sottolineando che queste piccole chicche non sono esattamente indicatori di una società equa e giusta:
Il punto di questo tira e molla non è quello di promuovere una parte rispetto all’altra, ma piuttosto di formulare questa conversazione da una prospettiva più umanitaria, perché nel mondo reale come un individuo si sente verso o sul capitalismo ha probabilmente più a che fare con il fatto che può permettersi di mettere il cibo in tavola (o andare in vacanza) piuttosto che con i principi economici tecnici e fondamentali su cui il capitalismo è costruito.
Dibattere una parte piuttosto che l’altra è qualcosa che possiamo fare da un luogo di privilegio, non di necessità, e faremmo tutti bene a ricordarcelo.
Alla fine della giornata vogliamo essere sani e vogliamo che anche i nostri figli si sentano sicuri e siano sani, tutto il resto – specialmente in questi tempi incerti – è nel migliore dei casi una distrazione gradita e nel peggiore un insopportabile rumore di fondo.
Perciò, piuttosto che seguire una linea di argomentazione binaria che cade ordinatamente in una categoria pro o contro il capitalismo, mi tufferò invece a capofitto in una zona un po’ più grigia – una zona per la quale molti filosofi contemporanei (specialmente il primo Wittgenstein) probabilmente mi castigherebbero – poiché presenterò qui alcune affermazioni morali e sosterrò, in modo assurdo, che ha anche senso parlarne.
Spero solo che lo troviate una distrazione gradita e non un insopportabile sproloquio filosofico.
Una delle idee morali più forti e persistenti alla base del nostro atteggiamento verso il consumo in qualsiasi nazione che divide la ricchezza tra gli individui in modo diseguale – cioè, qualsiasi nazione che caratterizza certi lavori e ruoli come più o meno degni di un reddito maggiore o minore – è che essere in grado di permettersi qualcosa equivale ad averne diritto.
Questo è il difetto fondamentale del capitalismo: l’idea che siccome ti puoi permettere di fare qualcosa, hai quindi il diritto di farla. Che si tratti di saltare da un aereo o di volare in un aereo di proprietà privata, fare qualcosa di discutibile (anche se legale) è spesso giustificato dalla premessa ingannevolmente semplice che la persona che fa la cosa può permettersela – in definitiva, è la sua scelta, con il denaro che è il fattore decisivo.
Questa giustificazione è quindi innegabilmente sia di natura economica che morale: cosa significa essere in grado di permettersi qualcosa? E come e in che modo essere in grado di permettersi qualcosa ci dà motivo di agire?
Questo atteggiamento è particolarmente visibile attraverso certi comportamenti di crisi che nascono in risposta a qualcosa come il virus corona, dove noi australiani (e molte persone di tutto il mondo) abbiamo a che fare con una carestia di carta igienica interamente di nostra creazione.
Dire a qualcuno che non dovrebbe accumulare carta igienica e articoli sanitari perché crea una carenza artificiale che potrebbe interrompere le forniture che vanno, per esempio, a infermieri e medici che lavorano troppo, o al personale di servizio essenziale come i camionisti che ci portano il cibo, cade piatto di fronte all’agenda del capitalista diligente:
Non puoi dirmi di non comprare carta igienica, ho il diritto di comprarne quanta me ne posso permettere, e non è colpa mia se sei stato troppo lento.
Per quanto sorprendente questa affermazione possa sembrare ad alcuni di noi, essa va in effetti al cuore del capitalismo perché riflette due dei quattro principi essenziali su cui si fonda il capitalismo: quello economico e quello morale – almeno secondo Aristotele e il nefasto figlio d’amore di Adam Smith; strenuo difensore del capitalismo Ayn Rand.
Il principio economico guida del capitalismo è la protezione e promozione del libero mercato e/o della libera impresa. È l’idea che è il mercato che dovrebbe determinare i prezzi, i prodotti e i servizi piuttosto che il governo e come tale le persone e le imprese dovrebbero operare e andare avanti nel loro consumo quotidiano con il minimo intervento del governo (più avanti su questo).
Il principio morale guida è quello dell’interesse personale razionale: una visione normativa dell’egoismo in cui un’azione “…è razionale se e solo se massimizza il proprio interesse personale” che dobbiamo ringraziare il filosofo ed economista scozzese Adam Smith.
Smith è forse la figura più influente in termini di teoria economica moderna ed è talvolta indicato come il padre del capitalismo o il padre dell’economia (senza dimenticare il suo predecessore del XIV secolo Ibn Khaldun).
Ma sto divagando. L’affermazione di cui sopra riflette il principio economico della libera impresa in quanto la parte “ho il diritto di comprare quanto più posso permettermi” si basa sul fatto che questo agente è totalmente libero e senza restrizioni nel suo acquisto di una cosa (in questo caso la carta igienica).
La parte morale è implicita perché è nell’interesse di questa persona avere una grande fornitura di carta igienica e comprarne il più possibile. In un senso economico più ampio Smith sostiene che questo tipo di comportamento competitivo tra le persone e le imprese promuove la ricchezza complessiva di una nazione, un’idea presentata nel suo opus magnum La ricchezza delle nazioni.
Si tratta di una questione di interesse generale.